Al di qua del sole [Racconto]

Girone: B
Genere: thriller
Tema: ” Maria fu chiusa in un riformatorio perché di famiglia povera e perché non sapeva leggere. Per poter lasciare il riformatorio acconsentì, all’età di 18 anni, alla sterilizzazione. Assunta da un proprietario terriero, Maria fu esaminata da un oculista che le diagnosticò una miopia fortissima… +info

AL DI QUA DEL SOLE

Al di qua del sole

MATTATOIO n. X [THe iNCIPIT]

L’agente Tony Laura è un tipo atticciato, che cerca di sublimare il suo fallimento come procuratore distrettuale facendosi scudo dietro un linguaggio forbito.

In verità, per ben tre volte era riuscito a superare brillantemente la prova di ammissione, ma, si sa, il suo cognome fuori moda aveva fatto sì che il suo scartafaccio si perdesse distrattamente nei babelici e polverosi stambugi della burocrazia. In parole povere era stato inculato da alcuni cognomi più alla moda del suo.

A differenza dell’ispettore Asserramanico il suo abbigliamento è sempre specioso, tirato a lucido. Nelle sue intenzioni ci sarebbe la presunzione di essere il lato speculare e al contempo cristallino del suo superiore. Una sorta di contraltare comportamentale per bilanciare l’aria malsana che si respira sovente alla centrale di polizia.
Le sue guanciotte tonde sono sempre illuminate da gradazioni rosso fuoco, ma in vita sua non ha mai toccato nemmeno un goccia di vino… o di birra, o di altro. È astemio, anche se fa finta di non saperlo.

– Ecco a lei i nastri ispettore.
– Questi sono solo 4, avevi detto che erano 5.
– Ha ragione signore ma c’è stato un ex aequo nella scelta delle opzioni e uno è andato perduto.
– Quando usi questi paroloni non capisco mai dove cazzo vuoi andare a parare. Avete dato un’occhiata al contenuto?
– Sì signore!
– Quindi?
– Quindi signore sarebbe il caso che li guardasse anche lei.

L’ispettore Asserramanico osserva la donna con piglio minaccioso, poi sospira, infine estrae una sigaretta dal pacchetto e se la infila tra i denti. La bacia, la inumidisce, il filtro si restringe spellandosi in più punti, dopodiché, con uno schiocco di dita, fa tinnire il coperchio metallico dello Zippo. Fuoco, la punta s’ingrossa e arde come il braciere di un maniscalco. Un paio di aspirate prolungate e si è già estinta. Esala l’ultimo filo di fumo, schiacciata brutalmente nel posacenere saturo di altri cadaveri consanguinei.

– Signorina questa storia non mi piace per niente. Agente Laura inserisca il primo vhs.
– Ma signore non aveva detto che non è saggio interferire ulteriormente con gli stati di shock pregressi della vit…
– Chiuditi quel cesso e fai come di dico.

Tony Laura introduce la cassetta nella bocca del videoregistratore.

PLAY sp 00:00:42

La location è cambiata, ci troviamo all’interno di un un mattatoio. Le pareti sono chiare, forse piastrellate in ceramica, riflettono pigramente una luce bluastra che si origina alle nostre spalle. Schiere di maiali squartati – dallo scroto fino al grugno – scendono dall’alto, offrendoci l’orrore dei loro ventri svuotati. È un transito interconnesso di tonalità granguignolesche: il rosa della cotenna rimbalza sul lardo cereo del tronco dilaniato, che a sua volta sfuma nel rosso carnale delle pareti interne, per impennarsi infine sul bianco intenso delle costate e delle vertebre. Il sangue gronda ancora, a goccia a goccia, dal grifo delle bestie macellate, formando rigagnoli scarlatti lungo il canale di scolo. È il carosello del terrore.
Al centro dell’inquadratura è posizionato un grande tavolo settorio d’acciaio, sul quale si dimena un bambino con mani e piedi legati. È incappucciato. Ad una seconda analisi visiva la conformazione delle sue dita ci suggerisce che potrebbe trattarsi di una persona affetta da nanismo.
Il tempo di metabolizzare la macabra visione e una donna imbavagliata, con indosso una bata de cola color porpora, viene trascinata di forza – da un energumeno – al centro della scena. L’uomo ha il volto coperto e veste un grembiule da macellaio antiscannamento. Colpisce con un fendete violentissimo la nuca della ballerina, che sviene e rovina a terra. Il losco figuro afferra una tronchese e le trancia di netto l’indice della mano destra. Brevi zampilli di sangue fuoriescono dal moncherino. Una donna grida a squarciagola. L’inquadratura ruota e si arresta sul primo piano dei suoi occhi. È lei, la stessa ragazza che in questo momento si trova nell’ufficio di Asserramanico.

nel_prossimo_vhs

Warandepark [Racconto]

Olimpiadi letterarie (o forse Decathlon) – Qualificazioni

Girone: B
Genere: thriller
Tema: Golconda

WARANDEPARK
(a short story by Jay Baren)

La notte – sibilante e umida – è caduta sui vicoli della città già da un pezzo, portandosi dietro un gelo pungente che alimenta il ticchettio dei denti di chi si attarda, e nutre le brame di piacere degli amanti sotto i coltroni.

Una donna, in camicia da notte, se ne sta allocchita e intorpidita su un ponticello, ad ammirare i ri­stagni dell’acqua che riflettono le luci stinte dei lampioni. È serena, i suoi lineamenti sono rilassati, il suo respiro è lento e armonioso, e sorride al suono dei passi di quell’inusuale promenade.

All’istante un fruscio. Un’ombra scivola minacciosa alle sue spalle. Una mano candida e levigata si allunga lentamente fino a posarsi sulla sua schiena. La donna riconosce quel contatto, lo assapora, lo trattiene, come se fosse l’ultimo. La vestaglia aleggia a mezz’aria, poi risale, fino a ricoprirle il capo. Si stringe attorno al suo collo, sempre più violenta. La lingua violacea si riversa all’esterno della sua bocca, pende, senza vita. Gli occhi fuoriescono dalle orbite, esaltando l’oblio di pupille enormi. Il cuore si placa. L’ultimo sospiro strozzato le lacera la gola, poi scivola giù, nelle fauci del vuoto eterno. La corrente gelida del Sambre la trascina via per sempre.

* * *

Continua…

PLAY sp 00:16:39 [THe iNCIPIT]

PLAY.

L’inquadratura avanza lentamente, si sofferma sul collo taurino del carnefice, oltrepassa il passamontagna borchiato (fetish) di cuoio nero, scivola affannosa sul bicipite nerboruto, annaspa sull’avambraccio nudo, ansima e sfoca sul riverbero della lama che si spegne alla destra dello schermo, infine stringe sul particolare degli occhi della donna. Non c’è più energia in essi, c’è ancora vita, ma non più la forza necessaria per trattenerla. Le sue pupille sono dilatate, disarmate, spoglie. Si disidratano ad ogni battito di ciglia e cadono nel vuoto come petali enervati. Rifluiscono l’avvilimento di organi ormai rassegnati, tuttavia capaci di produrre elevate quantità di orrore. Lo zoom retrocede, si allarga sul viso livido: la sua espressione è la rappresentazione focale di colei che proviene dalle regioni più remote delle nostre angosce: la morte.
Indietro, indietro, ancora indietro, l’obiettivo è un adagio sinfonico: omaggio al male più profondo. La scena si apre come un vangelo, al suo interno fa la sua apparizione un secondo soggetto. Un uomo (forse) con uno strano travestimento. Pochi secondi per permettere ai processi cognitivi di associarlo ad un tacchino. Tacchino? Sì, l’uomo è travestito da tacchino e nelle mani brandisce un machete. Si porta alle spalle della ragazza, s’inginocchia dietro di lei e la immobilizza cingendole un braccio all’altezza del petto. Il machete striscia e sibila sulla pelle cruda, poi si arresta minaccioso sul monte di Venere.
Il tipo incappucciato avanza, gattona sul materasso. Preserva la naturalezza del diavolo e la morbosità dell’essere umano. Ricama con la punta della lama un paio di cerchi attorno ai capezzoli della vittima. Lei non grida, non ne è più cape: vagisce.
La ripresa video chiude rapidamente sull’addome: il coltello è in primo piano, affonda. La carne oppone resistenza, rientra a cono verso se stessa, poi si spacca. Il tessuto risale, lento, infine l’acciaio penetra per intero. Un rivolo di sangue attraversa l’ombelico. Un urlo stridulo fa sfarfallare l’immagine che si capovolge, l’istante dopo si stabilizza. Gli ultimi fotogrammi vanno in loop ciclico. Il terrore risuona cadenzato nelle vibrazioni di un clangore gutturale.

STOP.

Sul display: STOP sp 00:29:17.

– Si blocca qui ispettore Asserramanico.
– Ma tu guarda che casino. Lei dov’è?
– È di là, nella sala degli interrogatori. È sotto shock.
– È sotto shock e la state interrogando? Queste cose ve le insegnano al corso?
– Sì.
– E dove ve lo fanno fare il corso, da mcdonald’s? Pagliacci!
– Ma ispettore Asserram…
– Ma ispettore un cazzo. Ha ferite sul corpo?
– Pulita signore.
– Portatemela subito qui. Questa storia puzza come le scoregge di Oliver Hardy.
– Non sta bene dileggiare le persone grasse ispettore.
– Non dileggio nessuna persona grassa imbecille, le sue scoregge puzzavano veramente. Ma poi tu che cazz… non devo darti spiegazione di niente. Sparisci e torna con la ragazza. Immediatamente!.
– Agli ordini signore.

L’ispettore Asserramanico è americoitaliano. Nel senso che è padre di figli italiani. È un tipo tosto: barba ispida, gilet e maniche della camicia sempre arrotolate, anche con l’aria condizionata. Il classico sbirro che con un tiro riesce a consumare mezza sigaretta senza esalare un filo di fumo. Lo trattiene tutto nei polmoni.
È preoccupato. Generalmente non risolve mai nessun caso semplicemente perché non ne ha voglia, ma quello che ha davanti è un caso veramente difficile da non risolvere. Forse proprio per questo motivo lo vorrebbe risolvere.

La ragazza viene fatta sedere davanti la sua scrivania. È visibilmente scossa: occhi vitrei, trema, tossisce.

– Le dispiacerebbe spegnere la sigaretta signore?
– Mi scusi signorina – ma l’ispettore non la spegne. – Passiamo a noi, quando ha ricevuto questo video tape?
– Ieri signore.
– È l’unico?
– No, il sequestratore…
– Ce ne sono altri signore. – interviene l’agente Laura.
– Portameli!

VHS

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