Un istante [THe iNCIPIT]

So che il lettore resterà sorpreso da quanto sto per dire; si lascerà sopraffare come al solito da considerazioni di carattere anagrafico. Ma niente regredisce di più una coscienza che una considerazione di carattere anagrafico. E niente alimenta di più il suo vuoto che un’errata e preconcetta valutazione sui tempi. L’evoluzione della mente non sempre coincide con la trasformazione fisica del suo contenitore. E questa è una certezza, perché ogni volta che il mio pensiero compie un passo in avanti, il mio seno non si sposta di mezza taglia.

Una volta mio nonno mi disse “non fidarti mai di qualcosa che accelera all’improvviso i battiti del tuo cuore, che sia esso dentro di te, o all’infuori di te, perché quel qualcosa non lo riuscirai mai a controllare, ti sembrerà di poterlo fare, ma non sarà così”.

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Luoghi

Il fantasma del Natale passato [THe iNCIPIT]

Inconsapevole certezza

Nevica.
La neve mi piace più della pioggia. Ha un carattere meno ostinato, poco risoluto, non cade sempre in perpendicolare, spesso si lascia trasportare dal vento. E poi non ti bagna subito, lei si accumula sulle spalle, e volendo ti lascia tutto il tempo per scrollartela di dosso. La neve non è come la nostalgia. La nostalgia non te la scrolli di dosso in nessun modo. Si alligna all’interno del tuo cuore e non si schioda più.
Tra il camino e l’albero di Natale ci sono due passi, esattamente i passi che servono alla nostalgia per raggiungerti. Io a Natale ho sempre scartato i regali davanti al camino, con il fuoco acceso, da quando avevo tre anni. Per me un regalo di Natale perde la sua identità se non lo si scarta davanti al camino. Ma quest’anno non scarterò regali, anche se ce n’è uno che mi aspetta, perché i regali sono come il seitan, sono solo un’illusione, e io ho perso il piacere dell’illusione.

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Istantanea - 20112013 - 01:32:44

Ti prego, non morire… [THe iNCIPIT]

Al secondo piano il corridoio è avvolto nel silenzio. L’illuminazione è svogliata, apatica, giallognola, incapace di offrire agli occhi quell’opportunità di messa a fuoco, di esaltazione del dettaglio. Una lampadina tossisce, arranca, non riesce e tenersi in piedi: cade e poi si rialza, cade e poi si rialza, la sua vita sta giungendo al termine. Il suo precario stato di salute, però, rende dinamiche le superfici delle pareti, i giochi d’ombra si divertono ad alternarsi, concedendoci uno spettacolo illusionistico: la maniglia si vede, poi sparisce, la maniglia si vede, poi sparisce, la maniglia ruota su sé stessa, lentamente, poi sparisce, la maniglia ora non c’è più. La porta è aperta. Cigola, si posa leggera sul battente. L’urto è ovattato, un suono timido si alza a malapena a mezz’aria, subito dopo ridiscende a terra, striscia per un paio di metri. Una folata di vento. Silenzio di tomba.
Dall’oscurità una sagoma si manifesta, avanza con portamento pencolante, ma metodico, il suo respiro è graffiato, macabro, si condensa all’interno di una faccia artificiale. Dalla sua gola risale una vocina querula, spezzata. È una cantilena, fa così:

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Ti prego, non morire…

Messa a fuoco [THe iNCIPIT]

L’uomo attraversa la porta a vento della centrale di polizia (scientifica) come un’entità impalpabile, si sofferma sulla soglia, solleva lo sguardo al cielo: l’imbrunire ha iniziato a inghiottire gli ultimi resti di luce, il tempo di una Salutatio Angelica e l’oscurità divorerà per l’ennesima volta le sicurezze del genere umano. Scende lentamente i gradini, si arresta di nuovo: pungenti refoli gli graffiano il viso ispido. S’illude di poterli stemperare con un paio di sorsi di Mescal, ingollati dalla fiaschetta in acciaio inox estratta dalla tasca interna dello Schott di pelle suina. Si alza il bavero del giubbotto, poi s’incammina.
La notte è molto meticolosa nel ricordare al suo stato d’animo che il giorno si rende meno complice dell’orrore: non lo lavi via tanto facilmente sotto i raggi del sole. Nella sua mente le immagini si susseguono velocemente: diapositive di morte in randomica successione. Ma fra tutte, una lo perseguita…

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Uno, due, tre...

I conti non tornano [THe iNCIPIT]

La ballerina è a terra, svenuta, la sua falange continua a innaffiare il pavimento lercio, che come una tela idrofoba respinge l’assorbimento del sangue, estendendolo in semicerchi di impalpabili ondate. Il carnefice (incappucciato) l’afferra per i piedi e la trascina verso la parete che si staglia al di là del nano immobilizzato. Il moncherino traccia un asse rosso–naif che s’imprime nell’orbita dell’inquadratura. L’uomo la solleva tenendola per le caviglie, dopodiché le infilza un gancio tra il malleolo e il tendine d’Achille – esegue la medesima operazione per l’arto speculare – poi l’appende a mezz’aria come quei maiali che fanno da sfondo all’amatoriale splatter. L’occhio dell’obbiettivo si estende lentamente in avanti nella bramosa ricerca di dettagli inediti. Le palpebre della donna si separano l’una dall’altra, scollandosi dal liquido lacrimale; è consapevole che la vittima fortunata è colei che perisce al primo colpo: grida. Quel suono straziato si rovescia e si espande dalle sue labbra spalancate, attraversando in un fremito la traiettoria della messa a fuoco. Sta assistendo alla vivisezione del suo cadavere – ancora vivo – trasmessa in anteprima nello specchio alle nostre spalle.

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E mo?

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